giovedì 21 giugno 2012

Hugo Pratt, Sant'Agostino e il viaggio.

Penso capiti a tutti di fare una chiacchierata inaspettata che ci fa scoprire quanto spesso siamo vittime dei nostri pregiudizi o di convinzioni basate sul nulla, che ci impediscono di conoscere a volte le cose a volte le persone, privandoci della possibilità di apprendere nuovi punti di vista e nuove riflessioni.


Ieri ho avuto una chiacchierata con una persona che non conoscevo affatto, della quale mi ero costruito artificialmente un’idea probabilmente sbagliata, durante la chiacchierata questa persona mi ha riferito un aforisma che recita : "bisogna avere ali per volare e radici per restare”.
Non so di chi sia l’aforisma, però mi piace il concetto che esprime. Stamattina quando mi sono svegliato, forse per via di quell’aforisma, avevo nella mente la parola : viaggio.
Viaggio inteso come ricerca, come percorso  per capire, ma forse anche come volontà di guardare a noi stessi  da lontano per provare a capire chi siamo veramente. Ovviamente mi riferisco al viaggio del viaggiatore e non del turista.

E allora oggi, avendo un po` di tempo a scuola, (i bambini sono quasi tutti ritornati in Italia) mi sono messo a cercare su internet per vedere cosa dicono, come spiegano gli intellettuali passati e presenti il significato intrinseco di questo termine, e ho anche pensato di condividere alcune mie (parziali, molto parziali) riflessioni.

Cercando, ho trovato di tutto, ma fondamentalmente mi hanno colpito due frasi di due diversi intellettuali, frasi in antitesi fra loro; la prima è di San’Agostino che dice: “ gli uomini viaggiano per stupirsi degli oceani, dei monti, dei fiumi e delle stelle e passano accanto a se stessi senza meravigliarsi".
La seconda frase è di Hugo Eugenio Pratt, indimenticabile autore di “ Corto Maltese” che in uno dei suoi tantissimi fumetti fa dire, proprio a Corto Maltese : “All'orizzonte di quell'oceano ci sarebbe stata sempre un'altra isola, per ripararsi durante un tifone, o per riposare e amare. Quell'orizzonte aperto sarebbe stato sempre lì, un invito ad andare”.


Due filosofie assolutamente diverse fra loro, due modi di interpretare l’esistenza e il suo fine ultimo contrapposte, ma che hanno  diversi punti in comune, diversi punti di contatto, direi, quasi rischiando di contraddirmi due interpretazioni della vita che possono coesistere, nel senso che il limite tra le due concezioni e` cosi labile che l’individuo può scegliere l’uno  o l’altro ottenendo alla fine risultati molto simili, perché   al termine del viaggio, se abbiamo saputo cercare, se le variabili non ci hanno fatto smarrire il filo i risultati saranno molto simili. D’altra parte entrambi i concetti hanno al centro l’uomo e la sua complessità.

Non mi pare qui interessante  ragionare  sul perché, qualcuno sceglie un modo di affrontare il viaggio della vita e altri ne scelgono  un altro, mentre trovo stimolante riflettere sulla natura delle due concezioni del viaggio come metafora della vita stessa , per identificare almeno un punto importante di convergenza nei due percorsi che comunque, a mio giudizio, sono  destinati a non approdare a nulla di definito, poiché  indefinito è il fine stesso dell’esistenza umana.

 Sant’Agostino afferma che le ragioni del compiacimento e della meraviglia del mondo non sono esterne all’uomo ma sono dentro di esso. Traspare evidente il suo essere cattolico pensante, la sua convinzione che l’uomo nonostante sia la  creatura privilegiata dal creatore, spesso dimentica che per scoprire la vita deve guardare dentro di se, e riassumendo con una frase tante filosofie passate anche laiche, il filosofo Sant'Agostino, suggerisce di scoprirci e non di scoprire, la meraviglia è l’uomo e non il mondo che abita.
Il Santo ci restituisce il ritratto di un uomo incapace di dare senso compiuto alla sua esistenza che vaga inutilmente alla ricerca di se e del bello, una ricerca destinata a fallire miseramente, se non (nell’ottica del Santo) accettandosi quale mezzo di osanna per il suo Creatore. Quindi un’accettazione che non viene dalla ragione ma dalla spiritualità e in quanto tale empiricamente inaccettabile.

Molto più laicamente Hugo Pratt, anche lui rifacendosi a grandi pensatori e intellettuali, pensa che l’uomo che  cerca se stesso al di fuori di se deve fare i conti con gli orizzonti che si susseguono uno dopo l’altro senza sosta.

Pratt disegna un orizzonte intellettuale fatto da punti di arrivo che sono anche punti di partenza, disegna un tragitto infinito come sono infiniti gli orizzonti che possiamo vedere e le esperienze che possiamo fare. Quindi anche qui l’uomo è destinato a non capire, è destinato ad approdare al porto ultimo del suo navigare senza Conoscenza.

Entrambe le concezioni esprimono una convinzione chiara, che a mio giudizio trova conferma nei limiti stessi dell’uomo, il quale sia scegliendo la prima che la seconda via trova nella sua imperfezione un ostacolo insuperabile che gli impedisce di colmare la distanza che c’è  tra l’essere e il sapere di essere.




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