mercoledì 27 dicembre 2017

Non ti allontanare.




E di corsa fuori, e di corsa giù verso la libertà
dei miei dieci anni e dei miei pantaloncini corti.

E di corsa ad incontrare il vento che accarezza le mie veloci esili gambe,
e di corsa a guardar la luce del sole che infiamma le mie guance felici.

Di corsa con gli occhi colmi di furiosa allegria
e le orecchie pronte ad afferrare ogni piccola voce amica.

E di corsa giù tra galline che confondono le mie scarpe vecchie,
mi lancio tra ciottoli levigati da vite trascorse che portano verso la punta della terra.

Sorrido tra me a vicine buone che curve sulle pile lavano consunti panni traboccanti di vita,
lesto saluto un contadino  dagli anni sfatto che dalla soglia di casa sospira la via della sua campagna.

Ammiro il muoversi rozzo delle sue mani vere tra arnesi che non userà mai più,
mani che con affetto provano, sfiorandomi appena, a frenare per un attimo la mia corsa felice.

Poi di scatto mi fermo di fronte ad eterni cumuli d’immondizia sempre fumante,
e respiro oltre, respiro con gli occhi al di là del loro fetore, l’aria azzurra che arriva dai giardini.

Il verde dei miei occhi cerca lontano tra le campagne amiche i segni misteriosi di una nuova avventura,
il verde sincero dei miei occhi ribelli, liberi a dieci anni, liberi adesso e liberi sempre.

Osservo di fronte a me il buon monte con la testa rotonda
che da sempre comprensivo e saggio mi perdona ogni marachella

Da lontano mi arriva la voce bella e rassicurante di mia madre,
non ti allontanare, non ti allontanare, non ti allontanare.

I figghi ri pirocchi arrinisciuti.

I figli dei cosiddetti "pirocchi arrinisciuti" sono molto più feccia dei loro padri.
I loro padri, infatti, nascono umanamente pidocchi, cioè parassiti, ma nel corso della vita, per emanciparsi dalla loro miserabile condizione umana, hanno dovuto impegnarsi per riuscire, da qui la definizione "pirocchiu arrinisciutu".

Costoro si sono attaccati da giovanissimi ad un organismo ospite, di solito un mafioso, un potente o un politico che comandava, non importa se di destra, di sinistra, di sopra o di sotto, hanno dato, per una bella parte delle loro vita, al politico, tutto quello che questi chiedeva, e in cambio hanno ricevuto, dal politico o loro padrone che dir si voglia, il sostegno necessario per emanciparsi dalla loro miserabile condizione di pidocchio semplice.
Nel far tutto questo, naturalmente, hanno fottuto gli uomini normali, cioè coloro i quali pidocchi non sono nati, in quanto madre famiglia  aveva fornito loro un valore (ai pidocchi sconosciuto) chiamato dignità, e che quindi lavorando e vivendo in maniera corretta non hanno avuto possibilità alcuna di competere con le miserevoli astuzie da vermi parassiti che corredano il dna dei pidocchi.
I figli dei "pirocchi arrinisciuti", dicevo, sono peggio dei loro padri, poiché hanno trovato la strada spianata, tutto in discesa, tutto facile e reso semplice dai soldi di papà "pidocchio arrinisciutu" e, anche se sono dei rincoglioniti, qualcosa riescono a farla, perchè non hanno bisogno di usare il cervello, che fra l'altro solitamente non essendo usato non è il massimo di quello che si può trovare sulla piazza. Queste creature, metà nulla e metà niente, nella vita non hanno mai fatto un giorno di manovale, di cameriere, di raccogliere ulive o di un lavoro qualsiasi. Insomma non hanno mai avuto bisogno di far nulla per avere mille lire in tasca, per comprarsi un libro o un pacchetto di sigarette. Non hanno nemmeno avuto bisogno d'impegnarsi a leccare il culo a nessuno, basta e avanza il leccaggio fatto dal loro papà in illo tempore. Loro devono solo fare nulla . Tuttavia, nonostante la loro finta esistenza, un qualcosina la concretizzano lo stesso, però, ripeto, concretizzano senza far niente, e quindi a differenza dei loro padri, che almeno hanno dovuto parassitare qualcuno e fottere qualcun altro, non acquisiscono e non ereditano la qualifica di "arrinisciutu" e rimangono solo pidocchi semplici.

sabato 16 dicembre 2017

Nuovo fiore (La mia Addis Abeba).




















Addis disperata che si trascina senza gambe per le strade,
Addis seppellita da palazzi violenti,
Addis di tutti e di nessuno,
Addis che t’implora, ti sorride e ti disprezza.

Addis che vende le sue cosce fredde su marciapiedi neri,
Addis pelle di scuro velluto che ride forte per annegare l’anima,
Addis che muore di notte e risorge con il sole del mattino,
Addis che ti mostra le sue mani piene di cose che non possiede più.

Addis senza pietà sui fuoristrada di splendide signore con occhiali fieri,
Addis che distribuisce il pane a chi non esiste più,
Addis degli stranieri che l'han capita guardando dalle loro finestre chiuse,
Addis che ti chiama con voce ferma dalle sue moschee.

Addis che incede elegante su tacchi a spillo affondati nella polvere,
Addis che a pochi scopre i suoi anfratti bui,
Addis che scompare dentro occhi a mandorla dalla pelle pallida,
Addis che non capisce, che urla e si dimena stanca.

Addis velata di bianco abbagliante nei giorni di festa,
Addis vestita di luridi stracci e di borse di plastica,
Addis delle Mercedes nere che infilano alberghi di lusso,
Addis che divora se stessa.

Addis orgogliosa di un passato  senza futuro,
Addis che parte e che ritorna,
Addis che illude e che tradisce,
Addis tutto, Addis  niente.

martedì 25 aprile 2017

Ogni giorno è il 25 aprile.

A guardare questa foto tremano i polsi.
Donne fiere, libere, decise, partigiane. Donne vere. Quanto mi piacerebbe averne conosciuta una.

Quando penso al 25 Aprile, la mia mente corre immediatamente ai partigiani di ogni colore politico, il mio pensiero va alle centinaia di persone civili innocenti che sono state trucidate dai nazifascisti per vendetta, va alle centinaia di persone che si sono sacrificate per la libertà di tutti, va a chi non si è mai preso la tessera del partito fascista, va agli intellettuali coraggiosi che hanno supportato le battaglie di libertà, va a tutti coloro che hanno contribuito in modo determinante, anche a costo della propria vita, a fare dell’Italia una Repubblica libera e democratica.

lunedì 24 aprile 2017

Parole al vento e il n'uovo che (basta e) avanza

Viviamo in un Paese nel quale alcune parole vengono abusate e hanno perso il loro significato originale. Questo accade nel linguaggio comune e succede troppo spesso nella propaganda politica. Prendiamo le parole riforma, cambiamento, nuovo.
A queste parole si è ormai attribuito un valore positivo a prescindere dai contenuti che veicolano.
In realtà la storia passata e recente dimostra che bisogna guardare al contenuto e non alle parole.
Per spiegare quanto detto userò il personaggio di Mussolini, non me ne vogliano i nostalgici del Duce e anche se fosse, diciamo che "me ne frego", un pò come amavano dire i fascisti.

giovedì 13 aprile 2017

La frittata di Giufà

Risultati immagini per giufà



Grandi manovre notturne e altro.
sottotitolo “minchia bollito”

In quel dell’aiuola purcata, nel pieno della scura nottata,
s’adunaron li alti generali della Brancaleone armata.

Furon li verginelli appena nati ad invocar all’adunata
‘na pletora di politicanti novi come ‘na prostituta illibata.

Menti esperte, abili marcamprisi e santi freschi di giornata,
tutti s’acconciarono a tesser la tela per la veniente elettoral tornata.

Dinanzi alla tavola imbandita c’eran quasi tutti li maggiorenti,
pronti a seppellir la spada e tirar fuori li denti.

Sguardo illuminato, petto fiero e durlindana in mano,
li generali principiarono a discuter del ben del popolo sovrano.

Al general De Cucuzzunis l’ardito compito de illustrar a li convenuti,
li giusti modi e li strumenti adatti a sbaragliar li nemici forti e bruti .

“Alta è la posta in gioco”, asserì subito appresso l’omin de legge,
“di perder rischiamo le poltrone e forse fin’anco le “segge”.

“Disposto sono a dimenticar le vostre malefatte e le angherie subite,
se in cambio mi darete pasta, carne e insalate ben condite”

Quel qui di sopra, fu lo ragionar del signor Portento, 
omo da sempre avvezzo a cambiar casacca ad ogni girar di vento.

Anche il buon generale Panzamolla, dopo attento pensare,
il suo concetto a li gentilissimi riuniti volle offrire.

“Anche se la coperta è lacera e fin troppo corta
io con forza reclamo la giusta mia fetta di torta.”

“Più di nessun sarò l’accompagnatore”, tuono poi dal suo sgabello,
il piccolo e simpatico signor Chiodoamartello”

“Ci sono anch’io, di me dovete ricordarvi” fu l’erudito dire del dottor Tarantella,
che paura avea di perder l’ormai più che ventennale pubblica parcella.

“Non fantasticate de pigliarci per beduini”,
ammonì lo primo rappresentante de li teneri pisellini.    

“Per un lustro intiero siamo stati a dormire
ma ora lu nostro paese vogliamo salvare.”

Li non poteva mancare lu civico Vermimoddu, sempre pronto ad afferrare,
qualche pezzo di pagnotta dai commensali lasciata cadere.

Insomma amici miei, incontro ad alto livello quella sera si tenne,
per ragionar su come non lasciare lu paese in panne.

In mezzo a tutto questo gran discutere e ciarlare,
il general De Cucuzzuinis non sapea che pesci acchiappare.

Troppo aggrovigliata e torbida gli parea d’esser la matassa,
senza contar che pur’esso bramava qualcosa da mettere dentro la sua cassa.

Alla fine della serata, quando perso tutto sembrava,
la gran trovata uno di loro sparava.

Signori miei: disse lu forti e spregiudicato sottotente Camaleonte,
"di quel che ho testè udito non mi interessa niente.

Anni fa per fare il sindaco a turno mi son messo,
e oggi nessuno mi farà passar per fesso”

Di fronte a ‘sta battuta tanto seria e tanto arguta
l’allegra compagnia si fece muta.

Allor tutti capirono che l’ora era arrivata
di prender venti uova e far la solita frittata.

L'amico cu la coppola storta  senza parola proferire
a tutti fece capire che era arrivata l'ora di andare.

“Se tutto va bene, pensaron tutti uscendo sotto il cielo bruno,
per i prossimi cinque anni la poltroncina non ce la leva nessuno”.

Solo il nostrano Edipo, testa in basso e fronte corrugata,
tra se ponderava che la cosa non potea così esser finita.

Tanto successe quella nottata, alla faccia di li ciminnisi,
c’ancora pensanu e cririnu a lu beni di lu paisi.

Tutto ciò per onor di cronanca mi sento di narrare
a li paesani mei che alla finestra stanno a guardare.

Cu la mira ri fari fari na risata,
puru a cu appi na mala iurnata.

Ora, son certo che voi vi starete chiedendo,
perché di queste cose scrivo sfottendo.

Io vi rispondo e dico amici miei e compagnia bella,
provate allora voi a ragionar di questi perfetti Puliscinella.


martedì 4 agosto 2015

Il pianto dell'amica Luna.



Lì ed allora tutto non aveva senso e non può averne adesso.
La farsa di un anima che si recitava senza conoscersi.


Alcune vite si riaffacciano silenziose da molto lontano,
si scorgono timide da dietro la linea dell'orizzonte dell'esistenza,

provano ad esistere ancora, e lo fanno in momenti strani, momenti scelti.

Hanno gli occhi grandi e neri quelle vite,
non hanno voce e non ti chiamano,

Restano li sullo sfondo muto e aspettano, ti aspettano.
Sanno bene che tu le senti.

Altri dovrebbero avere gli stessi occhi e dovrebbero vederti quando ti guardano.
Possono farlo, ma non vogliono più.

Collezionare  emozioni è la sola cosa che sai, e forse che vuoi fare.
Non lascerai nulla dietro di te solo sensazioni scolpite nel vento.

Alla fine sei molto solo, forse troppo solo, ormai.
Resta a farti compagnia soltanto il vuoto caldo, dolce e inutile della tua anima imperfetta.

Prendi la testa tra le mani e guardi la Luna piangere.
La guardi lassu piangere scolpita nei tanti che non hai saputo amare.