domenica 28 settembre 2014

La buona scuola: istruzioni per l'uso.



 La buona scuola.
Chi non la vuole?

Quale genitore non spera per il proprio figlio una scuola capace di guidarlo passo  dopo passo con amore ed efficienza.
Fin dal primo giorno di scuola dei nostri figli, quando emozionati più di loro li accompagniamo a scuola e li osserviamo entrare, guardarsi intorno, guardare i loro compagni, stringerci forte la mano, guardare i maestri per capire se sono “bravi, se possono fidarsi”, noi speriamo nella buona scuola.

Ogni anno noi docenti viviamo con loro il primo giorno di ogni anno scolastico, per scoprire che è sempre nuovo ed emozionante per noi e per loro, un giorno di speranza nel futuro.
Traspare nello sguardo dei genitori la voglia di futuro, la voglia di speranza, per qualcuno la volontà di  perseguire un sano riscatto sociale per interposta persona. Ripongono, cioe nel  figlio la speranza di vedergli realizzare i sogni che loro non hanno potuto realizzare per mille e mille ragioni o per una e una sola ragione. La scuola è speranza di riscatto e di un futuro migliore.

Tutti speriamo in una buona scuola, su di essa riponiamo grandi aspettative per i nostri figli.
Questo è tanto altro è il ruolo della scuola per le famiglie, per i singoli e per la società e allora vediamo tutti quanto la scuola è l'isituzione centrale nel funzionamento di un Paese.
La scuola è una cosa seria,  direi talmente seria da essere incompatibile con la politica  praticata dai  giullari dei nostri tempi.
Avere una buona scuola non è un obiettivo vago, ma è una necessità irrinunciabile per ogni Nazione.
Noi vogliamo una scuola, non solo buona ma all'altezza del compito che deve assolvere, capace di “formare” i nostri figli, di aiutarci a fare di loro degli uomini liberi e dei cittadini consapevoli.
Vogliamo che la scuola li accompagni fin da quando afferrano la matita come un cacciavite e anziché sedersi sulla sedia vogliono stare a giocare e a fare capitomboli sul pavimento, fino a quando saranno capace di scrivere testi che emozionano, fare discorsi che incantano, dipingere quadri che affascinano, sperimentare start up che conquistano il mondo, elaborare rivoluzionarie teorie scientifiche, entrare a lavorare come ingegnere meccanico con la Ferrari, o magari molto più semplicemente, capaci di essere cittadini consapevole, costruttori e praticanti attivi di cittadinanza democratica ed efficace.
Lo speriamo tutti.

La buona scuola.
Chi non la vuole?
Quale docente non vorrebbe entrare la mattina a scuola e trovarvi un ambiente accogliente, culturalmente vivo e vivace, una squadra coesa e collaborativa, un dirigente capace di ascoltare tutti e decidere il meglio, laboratori attrezzati, aule ed edifici sicuri, curati e puliti?
Lo vogliamo tutti.

Ma le cose oggi purtroppo non stanno così.
Non siamo gli ultimi nel mondo, ma non siamo nemmeno tra i migliori e non ce lo possiamo permettere La nostra scuola deve collocarsi tra le migliori, perché noi siamo l’Italia, siamo il Paese del bello e del buon gusto, siamo la patria della civiltà, la culla del rinascimento, di grandi artisti, di illustri pensatori. 
L’Italia non può avere una scuola mediocre, non ce lo possiamo permettere perche abbiamo ereditato dal passato una tradizione didattico/pedagogica e un sentire culturale che non possiamo mantenere sopito e che dobbiamo risvegliare.

Purtroppo oggi, dobbiamo ammetterlo, la nostra scuola è in grave difficoltà, è diventata una scuola mediocre e negli ultimi anni le cose vanno sempre più peggiorando. Le ragioni?
Abbiamo visto dirigere il dicastero dell’istruzione da personaggi incapacie e incompetenti, che si sono accaniti sulla scuola statale pubblica per annullarne la bontà e ridurla a mero posteggio per i figli del popolo.
In altri tempi questi politici e questi dirigenti non avrebbero nemmeno potuto fare (con rispetto parlando) nemmeno i bidelli in una scuola.
Oggi il nostro Primo Ministro, ricordando una sua recente promessa, dice che vuole cambiare la scuola italiana e renderla all’altezza della nostra storia e delle sfide della modernità. Bravo Renzi

Bravo, dobbiamo cambiare la nostra scuola. Come cambiare? Cosa cambiare?

Oggi il governo ci chiama a ragionare e a discutere su una ipotesi, direi su una serie di intenti di riforma resi pubblici che intendono rappresentare le linee guida della costruenda riforma, e ci chiede di inviare i nostri contributi le nostre riflessioni ad una piattaforma virtuale, promettendoci che ci sarà qualcuno dall’altro lato che li leggerà, li analizzerà, li selezionerà e poi deciderà quale contributo sarà utile alla riforma e quale sarà inutile e da scartare. Naturalmente questo lo farà utilizzando il setaccio del suo modo di pensare la scuola e lo farà senza un vero e proficuo confronto.
Io credo nella democrazia partecipativa orizzontale ed anche nell’uso di queste piattaforme virtuali,  ma sul fatto che questo modo di procedere per ascoltare, selezionare e usare le proposte della società civile, sia quello corretto e adeguato per riformare la nostra scuola, nutro forti e fortissime perplessità, pur tuttavia non mi sottraggo e voglio contribuire anch’io esprimendo il mio punto di vista.

Però, e inizio di proposito questo periodo con un però, perché mi pare che questo sia un  modo di procedere poco convincente, che non ci mette nelle condizioni di confrontarci con chi deciderà.
Il cambiamento non può essere di qualità se non affonda le basi nel confronto e se non si basa sull'analisi di quanto è successo nel passato più o meno recente.
La riforma se non  ha sicure radici che valorizzino il meglio e scartino il peggio della nostra tradizione è destinata a fnon essere capita, è destinata a fallire
Noi non possiamo cambiare la nostra scuola, proiettarla verso il futuro facendo finta che non c’è stato un passato, questo è un punto importante.

Consapevole del fatto che qualche pagina dattiloscritta può solo rappresentare un piccolo contributo, su un argomento di discussione amplissimo ed elaborato, mi limiterò a sviluppare brevemente il concetto appena espresso, cioè la necessità di dare  alla riforma radici e basi riconosciute e condivise.

Nelle cartelle preparate dal governo c’è di tutto e di più, tantissimi spunti di riflessione tante idee e proposte condivisibili e altre non condivisibili per niente.
Le ho lette, le ho rilette e mi sono convinto che aldilà dell’essere d’accordo su questo o su quell’altro punto,  manca l'analisi della situazione di partenza, manca un analisi dei provvedimenti e del dibattito politico culturale degli ultimi anni che hanno generato lo status quo. Pare come se si volesse iniziare la scalata di un monte partendo da metà, come se si volesse aggiustare un aggeggio non sapendo e non avendo contezza di quello che non funziona in esso.
Insomma mancano le prove d’ingresso.
Mi servo di un esempio banale per spiegarmi meglio: nella vita di ogni giorno quando vogliamo aggiustare qualcosa, decidiamo di farlo perché quel qualcosa non funziona più, o non è più adeguato ad un cambiamento avvenuto. Allora la prima cosa che facciamo è quella di individuare il pezzo, la prassi, il metodo che serve cambiare e cominciamo a ragionare su come e quando cambiarlo.
Questo metodo, e so di dire una banalità, deve valere anche per riformare la scuola.

Anche nella scuola, prima di dire cambiamo, dobbiamo capire cosa cambiare, e come cambiarlo, capire cosa non funziona e perché non funziona, quando la cosa che non funziona ha iniziato a non funzionare più e perché.
Ed è a questo punto che ritornando alla mancanza nel documento del governo di un’analisi seria della vicenda politica che ha interessato la scuola negli ultimi anni, viene da chiedersi: la riforma su cosa la poggiamo? La riforma deve partire da quello che c'è non dal nulla.
Io sono convinto che un’analisi serva e sia indispensabile per mettere dei punti fermi dai quali partire, e quindi dobbiamo farla e nel farla dobbiamo avere il coraggio di essere intellettualmente onesti e riconoscere che qui qualcuno la vuole buttare in caciara, vuole alzare polveroni, annebbiare la realtà e provare a farci dimenticare quello che fino a ieri tutti noi docenti avevamo individuato come la causa dei mali della nostra scuola e che volevamo cambiare a tutti costi.
Le politiche e i provvedimenti di destra degli ultimi anni: questo era, e secondo me è, la genesi dei mali della nostra scuola. Se non partiamo da qui non siamo onesti e non arriveremo a risultati concreti e spendibili all’interno di un processo riformatore importante ed ambizioso.

Fino a ieri era diffusa la consapevolezza, in chi si occupa di scuola,  che se la scuola italiana, negli ultimi anni era passata dall’essere un fiore all’occhiello, all’essere un elemento che assieme ad altri genera degrado e frena lo sviluppo economico e culturale del nostro Paese, questo era dovuto alle politiche degli ultimi governi di destra.
Era un dato di fatto che tutti avevamo introitato, perché ritenuto e perché vero.
Sapevamo tutti che la destra aveva rovinato la nostra scuola statale, usandola come contenitore dal quale attingere per tagliare la spesa sociale.

Ricordate il modulo nella primaria?
Un modello che aveva portato la nostra scuola primaria ad essere tra le migliori d’Europa e del mondo. Era un modello perfezionabile  ma validissimo, da mantenere e valorizzare.
Invece è arrivato un ministro di destra a dirci che quello era un modello sbagliato, che si doveva tornare al maestro unico, poi al tutor poi a cosa… boh? Morale della favola, il nostro modello modulare è stato sostituito dal modello confusionale.

Vi ricordate il FIS, generava qualche conflitto, ma  attraverso questi fondi si potevano retribuire tutta una serie di funzioni organizzativo/gestionali e cosa fondamentale si poteva finanziare l’ampliamento dell’offerta formativa? Quasi scomparso, per finanziare la restituzione degli scatti stipendiali bloccati, che loro stessi hanno bloccato

Vi ricordate l’ampliamento dell’offerta della lingua inglese e la relativa formazione dei docenti nella primaria?
Si è trasformata in una farsa ridicola, docenti che fanno 100 ore di corso di lingua, nel quale imparano un centinaio di parole e vengono catapultati (loro malgrado) ad insegnare nella prima e nella seconda.

Vi ricordate i rapporti tra dirigente e docenti prima della 150 di Brunetta?
Erano non dico paritetici ma ragionevolmente equilibrati.
E’ arrivata la legge Brunetta, il PD assieme ad altre forze politiche e sindacali ha fatto le barricate contro quel provvedimento che snaturava un modello gestionale adeguato ad una comunità che genera e produce sviluppo e cultura e conoscenza come la scuola.
La scuola non può essere gestita attraverso  processi e rapporti di tipo aziendale, dentro la scuola tutti devono potersi sentire uguali.
Oggi, se da un lato esiste ancora il collegio dei docenti con le sue competenze, dall'altro lato esse vengono tuttavia spesso annullate dai poteri attribuiti ai dirigenti, i quali badiamo bene non hanno nessuna formazione per fare quello che fanno, sono semplici docenti che hanno superato un concorso, ma di gestione aziendale non capiscono niente. Risultato: conflitti palesi e latenti che fanno tanto male alla scuola,  che generano frustrazione e disincanto nel corpo docente.

Vi ricordate il turn over del personale?
Un processo indispensabile in ogni realtà lavorativa, ma assolutamente irrinunciabile nella scuola, che deve essere, proprio per la missione che svolge nella società, capace di modellarsi, plasmarsi e adattarsi in maniera critico/dinamica ai cambiamenti sociali, culturali e tecnologici per potere essere sempre attuale.
Oggi il turn over è stato annullato, e anche i nuovi assunti saranno persone avanti con l’età e logorate nell’anima da anni di precariato.
Troppi docenti anziani, troppi docenti demotivati, a volte nostro malgrado fuori dall’orbita culturale delle nuove generazioni.

Vi ricordate i fondi per la formazione e l’aggiornamento? Quasi del tutto scomparsi, anche qui in nome del risparmio, con conseguenze in generale nefaste e a volte con risvolti pratici al limite del ridicolo, come avere in tutte le classi una LIM, e contemporaneamente nessun docente o quasi, che la sappia usare.
Potrei continuare, ricordando la scomparsa della storia dell’arte in alcune tipologie d’istituti scolastici, i tentativi goffi di far scomparire altre discipline, i programmi della scuola secondaria di primo grado ormai preistorici, la non ricollocabilità, di docenti che hanno paura ad entrare nelle classi.

Vogliamo  e dobbiamo cambiare verso, ma bisogna essere intellettualmente onesti e partire dalla memoria dei provvedimenti che hanno deturpato l’immagine della nostra scuola,  disarticolato i modelli organizzativo/didattici e immiserito il ruolo di docenti. Io ho enunciati solo alcuni dei provvedimenti che vanno eliminati subito senza se e senza ma.

Anni di politiche  di destra, miranti a tagliare la scuola statale ed a foraggiare i diplomifici privati.
Anni di martellamento mediatico, funzionali a sminuire e ad annullare la dignità della nostra professione e a  definire la categoria dei docenti come una classe di privilegiati, incapaci, fannulloni e per di più con 3 mesi di vacanze durante l’anno. Questo è anche quello che dobbiamo cancellare dall’immaginario collettivo.

Io ci sto a cambiare verso, ma a condizione che non mi si chieda di dimenticare, per ragioni politiche, le battaglie sostenute fino ad oggi contro le politiche di destra.
Individuiamo cosa cambiare partendo da quello che abbiamo finora lottato, diamoci un orizzonte e iniziamo a lavorare.
La mia sensazione è che ci vogliono annegare nelle chiacchiere e ridurre il confronto in questa sorta di marasma di messaggeria virtuale, che taglia fuori le rappresentanze di qualsiasi tipo, rivolgendosi al popolo in maniera diretta, sapendo bene che esso (il popolo)  è un’identità indefinita dalla quale verrà fuori di tutto e di più.
Non so voi, ma io lo chiamo populismo e le riforme della scuola non si fanno con il populismo.

Insegnante Salvatore Fina

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