La buona scuola.
Chi non la vuole?
Quale genitore non spera per il
proprio figlio una scuola capace di guidarlo passo dopo passo con amore ed efficienza.
Fin dal primo giorno di scuola
dei nostri figli, quando emozionati più di loro li accompagniamo a scuola e li
osserviamo entrare, guardarsi intorno, guardare i loro compagni,
stringerci forte la mano, guardare i maestri per capire se sono “bravi, se possono
fidarsi”, noi speriamo nella buona scuola.
Ogni anno noi docenti viviamo con loro il primo giorno di ogni anno scolastico, per scoprire che è sempre nuovo ed emozionante per noi e per loro, un giorno di speranza nel futuro.
Traspare nello sguardo dei genitori la voglia di futuro, la voglia di speranza, per qualcuno la volontà di perseguire un sano riscatto sociale per interposta persona. Ripongono, cioe nel figlio la speranza di vedergli realizzare i sogni che loro non hanno potuto realizzare per mille e mille ragioni o per una e una sola ragione. La scuola è speranza di riscatto e di un futuro migliore.
Ogni anno noi docenti viviamo con loro il primo giorno di ogni anno scolastico, per scoprire che è sempre nuovo ed emozionante per noi e per loro, un giorno di speranza nel futuro.
Traspare nello sguardo dei genitori la voglia di futuro, la voglia di speranza, per qualcuno la volontà di perseguire un sano riscatto sociale per interposta persona. Ripongono, cioe nel figlio la speranza di vedergli realizzare i sogni che loro non hanno potuto realizzare per mille e mille ragioni o per una e una sola ragione. La scuola è speranza di riscatto e di un futuro migliore.
Tutti speriamo in una buona
scuola, su di essa riponiamo grandi aspettative per i nostri figli.
Questo è tanto altro è il ruolo della scuola per le famiglie, per i singoli e per la società e allora vediamo tutti quanto la scuola è l'isituzione centrale nel funzionamento di un Paese.
Questo è tanto altro è il ruolo della scuola per le famiglie, per i singoli e per la società e allora vediamo tutti quanto la scuola è l'isituzione centrale nel funzionamento di un Paese.
La scuola è una cosa seria, direi talmente seria da essere incompatibile
con la politica praticata dai giullari dei nostri tempi.
Avere una buona scuola non è un obiettivo vago, ma è una necessità irrinunciabile per ogni Nazione.
Noi vogliamo una scuola, non solo buona ma all'altezza del compito che deve assolvere, capace di “formare” i nostri figli, di aiutarci a fare di loro degli uomini liberi e dei cittadini consapevoli.
Noi vogliamo una scuola, non solo buona ma all'altezza del compito che deve assolvere, capace di “formare” i nostri figli, di aiutarci a fare di loro degli uomini liberi e dei cittadini consapevoli.
Vogliamo che la scuola li
accompagni fin da quando afferrano la matita come un cacciavite
e anziché sedersi sulla sedia vogliono stare a giocare e a fare capitomboli sul
pavimento, fino a quando saranno capace di scrivere testi che
emozionano, fare discorsi che incantano, dipingere quadri che affascinano,
sperimentare start up che conquistano il mondo, elaborare rivoluzionarie teorie
scientifiche, entrare a lavorare come ingegnere meccanico con la Ferrari, o
magari molto più semplicemente, capaci di essere cittadini consapevole, costruttori
e praticanti attivi di cittadinanza democratica ed efficace.
Lo speriamo tutti.
La buona scuola.
Chi non la vuole?
Quale docente non vorrebbe
entrare la mattina a scuola e trovarvi un ambiente accogliente, culturalmente
vivo e vivace, una squadra coesa e collaborativa, un dirigente capace di
ascoltare tutti e decidere il meglio, laboratori attrezzati, aule ed edifici
sicuri, curati e puliti?
Lo vogliamo tutti.
Ma le cose oggi purtroppo non
stanno così.
Non siamo gli ultimi nel mondo,
ma non siamo nemmeno tra i migliori e non ce lo possiamo permettere La nostra scuola deve collocarsi tra le migliori, perché noi
siamo l’Italia, siamo il Paese del bello e del buon gusto, siamo la patria della civiltà, la culla del
rinascimento, di grandi artisti, di illustri pensatori.
L’Italia non può avere una scuola mediocre, non ce lo possiamo
permettere perche abbiamo ereditato dal passato una tradizione didattico/pedagogica e un sentire culturale che non possiamo mantenere sopito e che dobbiamo
risvegliare.
Purtroppo oggi, dobbiamo ammetterlo, la nostra
scuola è in grave difficoltà, è diventata una scuola mediocre e negli ultimi anni le cose vanno sempre più
peggiorando. Le ragioni?
Abbiamo visto dirigere il
dicastero dell’istruzione da personaggi incapacie e incompetenti, che si sono accaniti sulla
scuola statale pubblica per annullarne la bontà e ridurla a mero posteggio per
i figli del popolo.
In altri tempi questi politici e
questi dirigenti non avrebbero nemmeno potuto fare (con rispetto parlando) nemmeno i
bidelli in una scuola.
Oggi il nostro Primo Ministro, ricordando
una sua recente promessa, dice che vuole cambiare la scuola italiana e renderla
all’altezza della nostra storia e delle sfide della modernità. Bravo Renzi
Bravo, dobbiamo cambiare la
nostra scuola. Come cambiare? Cosa cambiare?
Oggi il governo ci chiama a
ragionare e a discutere su una ipotesi, direi su una serie di intenti di riforma resi pubblici che intendono rappresentare le linee guida della costruenda riforma, e ci chiede di inviare i nostri
contributi le nostre riflessioni ad una piattaforma virtuale, promettendoci che ci sarà qualcuno
dall’altro lato che li leggerà, li analizzerà, li selezionerà e poi deciderà
quale contributo sarà utile alla riforma e quale sarà inutile e da scartare. Naturalmente questo lo farà utilizzando il setaccio del suo modo di pensare la
scuola e lo farà senza un vero e proficuo confronto.
Io credo nella democrazia
partecipativa orizzontale ed anche nell’uso di queste piattaforme virtuali, ma sul fatto che questo modo di procedere per
ascoltare, selezionare e usare le proposte della società civile, sia quello
corretto e adeguato per riformare la nostra scuola, nutro forti e fortissime
perplessità, pur tuttavia non mi sottraggo e voglio contribuire anch’io
esprimendo il mio punto di vista.
Però, e inizio di proposito
questo periodo con un però, perché mi pare che questo sia un modo di procedere poco convincente, che non ci mette nelle condizioni di confrontarci con chi deciderà.
Il cambiamento non può essere di
qualità se non affonda le basi nel confronto e se non si basa sull'analisi di quanto è successo nel passato più o meno recente.
La riforma se non ha sicure radici che valorizzino il meglio e scartino il peggio della nostra tradizione è destinata a fnon essere capita, è destinata a fallire
La riforma se non ha sicure radici che valorizzino il meglio e scartino il peggio della nostra tradizione è destinata a fnon essere capita, è destinata a fallire
Noi non possiamo cambiare la
nostra scuola, proiettarla verso il futuro facendo finta che non c’è stato un
passato, questo è un punto importante.
Consapevole del fatto che qualche
pagina dattiloscritta può solo rappresentare un piccolo contributo, su un argomento di discussione amplissimo ed elaborato, mi limiterò a sviluppare
brevemente il concetto appena espresso, cioè la necessità di dare alla riforma radici e basi riconosciute e
condivise.
Nelle cartelle preparate dal governo c’è di tutto e di più, tantissimi spunti di riflessione tante idee e proposte condivisibili e altre non condivisibili per niente.
Le ho lette, le ho rilette e mi
sono convinto che aldilà dell’essere d’accordo su questo o su quell’altro
punto, manca l'analisi della situazione di partenza, manca un analisi dei provvedimenti e del
dibattito politico culturale degli ultimi anni che hanno generato lo status quo.
Pare come se si volesse iniziare la scalata di un monte partendo da metà, come se si
volesse aggiustare un aggeggio non sapendo e non avendo contezza di quello che
non funziona in esso.
Insomma mancano le prove
d’ingresso.
Mi servo di un esempio banale per
spiegarmi meglio: nella vita di ogni giorno quando vogliamo aggiustare qualcosa,
decidiamo di farlo perché quel qualcosa non funziona più, o non è più adeguato
ad un cambiamento avvenuto. Allora la prima cosa che facciamo è quella di
individuare il pezzo, la prassi, il metodo che serve cambiare e cominciamo a ragionare
su come e quando cambiarlo.
Questo metodo, e so di dire una
banalità, deve valere anche per riformare la scuola.
Anche nella scuola, prima di dire
cambiamo, dobbiamo capire cosa cambiare, e come cambiarlo, capire cosa non
funziona e perché non funziona, quando la cosa che non funziona ha iniziato a
non funzionare più e perché.
Ed è a questo punto che ritornando
alla mancanza nel documento del governo di un’analisi seria della vicenda
politica che ha interessato la scuola negli ultimi anni, viene da chiedersi: la riforma su cosa la poggiamo? La riforma deve partire da quello che c'è non dal nulla.
Io sono convinto che un’analisi serva
e sia indispensabile per mettere dei punti fermi dai quali partire, e quindi dobbiamo farla e nel farla dobbiamo avere il
coraggio di essere intellettualmente onesti e riconoscere che qui qualcuno la
vuole buttare in caciara, vuole alzare polveroni, annebbiare la realtà e
provare a farci dimenticare quello che fino a ieri tutti noi docenti avevamo
individuato come la causa dei mali della nostra scuola e che volevamo cambiare a
tutti costi.
Le politiche e i provvedimenti di
destra degli ultimi anni: questo era, e secondo me è, la genesi dei mali della
nostra scuola. Se non partiamo da qui non siamo onesti e non arriveremo a
risultati concreti e spendibili all’interno di un processo riformatore
importante ed ambizioso.
Fino a ieri era diffusa la
consapevolezza, in chi si occupa di scuola,
che se la scuola italiana, negli ultimi anni era passata dall’essere un
fiore all’occhiello, all’essere un elemento che assieme ad altri genera degrado
e frena lo sviluppo economico e culturale del nostro Paese, questo era dovuto
alle politiche degli ultimi governi di destra.
Era un dato di fatto che tutti
avevamo introitato, perché ritenuto e perché vero.
Sapevamo tutti che la destra
aveva rovinato la nostra scuola statale, usandola come contenitore dal quale
attingere per tagliare la spesa sociale.
Ricordate il modulo nella
primaria?
Un modello che aveva portato la
nostra scuola primaria ad essere tra le migliori d’Europa e del mondo. Era un
modello perfezionabile ma validissimo,
da mantenere e valorizzare.
Invece è arrivato un ministro di
destra a dirci che quello era un modello sbagliato, che si doveva tornare al
maestro unico, poi al tutor poi a cosa… boh? Morale della favola, il nostro
modello modulare è stato sostituito dal modello confusionale.
Vi ricordate il FIS, generava
qualche conflitto, ma attraverso questi
fondi si potevano retribuire tutta una serie di funzioni organizzativo/gestionali
e cosa fondamentale si poteva finanziare l’ampliamento dell’offerta formativa?
Quasi scomparso, per finanziare la restituzione degli scatti stipendiali
bloccati, che loro stessi hanno bloccato
Vi ricordate l’ampliamento
dell’offerta della lingua inglese e la relativa formazione dei docenti nella
primaria?
Si è trasformata in una farsa
ridicola, docenti che fanno 100 ore di corso di lingua, nel quale imparano un
centinaio di parole e vengono catapultati (loro malgrado) ad insegnare nella
prima e nella seconda.
Vi ricordate i rapporti tra
dirigente e docenti prima della 150 di Brunetta?
Erano non dico paritetici ma
ragionevolmente equilibrati.
E’ arrivata la legge Brunetta, il
PD assieme ad altre forze politiche e sindacali ha fatto le barricate contro
quel provvedimento che snaturava un modello gestionale adeguato ad una comunità
che genera e produce sviluppo e cultura e conoscenza come la scuola.
La scuola non può essere gestita
attraverso processi e rapporti di tipo
aziendale, dentro la scuola tutti devono potersi sentire uguali.
Oggi, se da un lato esiste
ancora il collegio dei docenti con le sue competenze, dall'altro lato esse vengono tuttavia
spesso annullate dai poteri attribuiti ai dirigenti, i quali badiamo bene non
hanno nessuna formazione per fare quello che fanno, sono semplici docenti che
hanno superato un concorso, ma di gestione aziendale non capiscono niente.
Risultato: conflitti palesi e latenti che fanno tanto male
alla scuola, che generano frustrazione e disincanto nel corpo docente.
Vi ricordate il turn over del
personale?
Un processo indispensabile in
ogni realtà lavorativa, ma assolutamente irrinunciabile nella scuola, che deve
essere, proprio per la missione che svolge nella società, capace di modellarsi,
plasmarsi e adattarsi in maniera critico/dinamica ai cambiamenti sociali,
culturali e tecnologici per potere essere sempre attuale.
Oggi il turn over è stato
annullato, e anche i nuovi assunti saranno persone avanti con l’età e logorate
nell’anima da anni di precariato.
Troppi docenti anziani, troppi
docenti demotivati, a volte nostro malgrado fuori dall’orbita culturale delle
nuove generazioni.
Vi ricordate i fondi per la
formazione e l’aggiornamento? Quasi del tutto scomparsi, anche qui in nome del
risparmio, con conseguenze in generale nefaste e a volte con risvolti pratici
al limite del ridicolo, come avere in tutte le classi una LIM, e
contemporaneamente nessun docente o quasi, che la sappia usare.
Potrei continuare, ricordando la
scomparsa della storia dell’arte in alcune tipologie d’istituti scolastici, i
tentativi goffi di far scomparire altre discipline, i programmi della scuola
secondaria di primo grado ormai preistorici, la non ricollocabilità, di docenti
che hanno paura ad entrare nelle classi.
Vogliamo
e dobbiamo cambiare verso, ma bisogna essere intellettualmente onesti e
partire dalla memoria dei provvedimenti che hanno deturpato l’immagine della
nostra scuola, disarticolato i modelli
organizzativo/didattici e immiserito il ruolo di docenti. Io ho enunciati
solo alcuni dei provvedimenti che vanno eliminati subito senza se e senza ma.
Anni di politiche di destra, miranti a tagliare la scuola
statale ed a foraggiare i diplomifici privati.
Anni di martellamento mediatico,
funzionali a sminuire e ad annullare la dignità della nostra professione e
a definire la categoria dei docenti come
una classe di privilegiati, incapaci, fannulloni e per di più con 3 mesi di
vacanze durante l’anno. Questo è anche quello che dobbiamo cancellare
dall’immaginario collettivo.
Io ci sto a cambiare verso, ma a
condizione che non mi si chieda di dimenticare, per ragioni politiche, le
battaglie sostenute fino ad oggi contro le politiche di destra.
Individuiamo cosa cambiare
partendo da quello che abbiamo finora lottato, diamoci un orizzonte e iniziamo
a lavorare.
La mia sensazione è che ci
vogliono annegare nelle chiacchiere e ridurre il confronto in questa sorta di
marasma di messaggeria virtuale, che taglia fuori le rappresentanze di
qualsiasi tipo, rivolgendosi al popolo in maniera diretta, sapendo bene che
esso (il popolo) è un’identità
indefinita dalla quale verrà fuori di tutto e di più.
Non so voi, ma io lo chiamo
populismo e le riforme della scuola non si fanno con il populismo.
Insegnante Salvatore Fina
Nessun commento:
Posta un commento