Penso capiti a tutti di fare una
chiacchierata inaspettata che ci fa scoprire quanto spesso siamo vittime dei
nostri pregiudizi o di convinzioni basate sul nulla, che ci impediscono di
conoscere a volte le cose a volte le persone, privandoci della possibilità di
apprendere nuovi punti di vista e nuove riflessioni.
Ieri ho avuto una chiacchierata con una
persona che non conoscevo affatto, della quale mi ero costruito artificialmente
un’idea probabilmente sbagliata, durante la chiacchierata questa persona mi ha
riferito un aforisma che recita : "bisogna avere ali per volare e radici per
restare”.
Non so di chi sia l’aforisma, però mi piace il concetto che esprime. Stamattina quando mi
sono svegliato, forse per via di quell’aforisma, avevo nella mente la parola :
viaggio.
Viaggio inteso come ricerca, come percorso per capire, ma forse anche come volontà di
guardare a noi stessi da lontano per
provare a capire chi siamo veramente. Ovviamente mi riferisco al viaggio del
viaggiatore e non del turista.
E allora oggi, avendo un po` di tempo a
scuola, (i bambini sono quasi tutti ritornati in Italia) mi sono messo a
cercare su internet per vedere cosa dicono, come spiegano gli intellettuali
passati e presenti il significato intrinseco di questo termine, e ho anche pensato di condividere alcune mie (parziali, molto parziali) riflessioni.
Cercando, ho trovato di tutto, ma fondamentalmente mi hanno colpito
due frasi di due diversi intellettuali, frasi in antitesi fra loro; la prima è
di San’Agostino che dice: “ gli uomini viaggiano per stupirsi degli oceani, dei
monti, dei fiumi e delle stelle e passano accanto a se stessi senza
meravigliarsi".
La seconda frase è di Hugo
Eugenio Pratt, indimenticabile autore di “ Corto Maltese” che in uno dei suoi
tantissimi fumetti fa dire, proprio a Corto Maltese : “All'orizzonte di
quell'oceano ci sarebbe stata sempre un'altra isola, per ripararsi durante un
tifone, o per riposare e amare. Quell'orizzonte aperto sarebbe stato sempre lì,
un invito ad andare”.
Due filosofie assolutamente diverse fra loro, due
modi di interpretare l’esistenza e il suo fine ultimo contrapposte, ma che hanno
diversi punti in comune, diversi punti
di contatto, direi, quasi rischiando di contraddirmi due interpretazioni della
vita che possono coesistere, nel senso che il limite tra le due concezioni e`
cosi labile che l’individuo può scegliere l’uno
o l’altro ottenendo alla fine risultati molto simili, perché al termine del viaggio, se abbiamo saputo
cercare, se le variabili non ci hanno fatto smarrire il filo i risultati
saranno molto simili. D’altra parte entrambi i concetti hanno al centro l’uomo
e la sua complessità.
Non mi pare qui interessante ragionare
sul perché, qualcuno sceglie un modo di affrontare il viaggio della vita
e altri ne scelgono un altro, mentre
trovo stimolante riflettere sulla natura delle due
concezioni del viaggio come metafora della vita stessa , per identificare almeno un punto
importante di convergenza nei due percorsi che comunque, a mio giudizio, sono destinati a non approdare a nulla di definito,
poiché indefinito è il fine stesso dell’esistenza
umana.
Sant’Agostino
afferma che le ragioni del compiacimento e della meraviglia del mondo non sono
esterne all’uomo ma sono dentro di esso. Traspare evidente il suo essere
cattolico pensante, la sua convinzione che l’uomo nonostante sia la creatura privilegiata dal creatore, spesso
dimentica che per scoprire la vita deve guardare dentro di se, e riassumendo
con una frase tante filosofie passate anche laiche, il filosofo Sant'Agostino, suggerisce di scoprirci e
non di scoprire, la meraviglia è l’uomo e non il mondo che abita.
Il Santo ci restituisce il
ritratto di un uomo incapace di dare senso compiuto alla sua esistenza che vaga inutilmente
alla ricerca di se e del bello, una ricerca destinata a fallire miseramente, se non (nell’ottica
del Santo) accettandosi quale mezzo di osanna per il suo Creatore. Quindi un’accettazione
che non viene dalla ragione ma dalla spiritualità e in quanto tale
empiricamente inaccettabile.
Molto più laicamente Hugo Pratt, anche
lui rifacendosi a grandi pensatori e intellettuali, pensa che l’uomo che cerca se stesso al di fuori di se deve fare i
conti con gli orizzonti che si susseguono uno dopo l’altro senza sosta.
Pratt disegna un orizzonte intellettuale
fatto da punti di arrivo che sono anche punti di partenza, disegna un tragitto
infinito come sono infiniti gli orizzonti che possiamo vedere e le esperienze
che possiamo fare. Quindi anche qui l’uomo è destinato a non capire, è
destinato ad approdare al porto ultimo del suo navigare senza Conoscenza.
Entrambe le concezioni esprimono una convinzione
chiara, che a mio giudizio trova conferma nei limiti stessi dell’uomo, il quale sia
scegliendo la prima che la seconda via trova nella sua imperfezione un ostacolo
insuperabile che gli impedisce di colmare la distanza che c’è tra l’essere e il sapere di essere.
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