Grandi manovre notturne e altro.
sottotitolo “minchia
bollito”
In quel dell’aiuola purcata, nel pieno della scura nottata,
s’adunaron li alti generali della Brancaleone armata.
Furon li verginelli appena nati ad invocar all’adunata
‘na pletora di politicanti novi come ‘na prostituta illibata.
Menti esperte, abili marcamprisi e santi freschi di
giornata,
tutti s’acconciarono a tesser la tela per la veniente elettoral
tornata.
Dinanzi alla tavola imbandita c’eran quasi tutti li
maggiorenti,
pronti a seppellir la spada e tirar fuori li denti.
Sguardo illuminato, petto fiero e durlindana in mano,
li generali principiarono a discuter del ben del popolo
sovrano.
Al general De Cucuzzunis l’ardito compito de illustrar a
li convenuti,
li giusti modi e li strumenti adatti a sbaragliar li nemici forti e bruti .
“Alta è la posta in gioco”, asserì subito appresso l’omin de legge,
“di perder rischiamo le poltrone e forse fin’anco le “segge”.
“Disposto sono a dimenticar le vostre malefatte e le
angherie subite,
se in cambio mi darete pasta, carne e insalate ben condite”
Quel qui di sopra, fu lo ragionar del signor Portento,
omo da sempre avvezzo a cambiar casacca ad ogni girar di
vento.
Anche il buon generale Panzamolla, dopo attento pensare,
il suo concetto a li gentilissimi riuniti volle offrire.
“Anche se la coperta è lacera e fin troppo corta
io con forza reclamo la giusta mia fetta di torta.”
“Più di nessun sarò l’accompagnatore”, tuono poi dal suo
sgabello,
il piccolo e simpatico signor Chiodoamartello”
“Ci sono anch’io, di me dovete ricordarvi” fu l’erudito dire
del dottor Tarantella,
che paura avea di perder l’ormai più che ventennale pubblica
parcella.
“Non fantasticate de pigliarci per beduini”,
ammonì lo primo rappresentante de li teneri pisellini.
“Per un lustro intiero siamo stati a dormire
ma ora lu nostro paese vogliamo salvare.”
Li non poteva mancare lu civico Vermimoddu, sempre pronto ad afferrare,
qualche pezzo di pagnotta dai commensali lasciata cadere.
Insomma amici miei, incontro ad alto livello quella sera si tenne,
per ragionar su come non lasciare lu paese in panne.
In mezzo a tutto questo gran discutere e ciarlare,
il general De Cucuzzuinis non sapea che pesci acchiappare.
Troppo aggrovigliata e torbida gli parea d’esser la matassa,
senza contar che pur’esso bramava qualcosa da mettere dentro
la sua cassa.
Alla fine della serata, quando perso tutto sembrava,
la gran trovata uno di loro sparava.
Signori miei: disse lu forti e spregiudicato sottotente Camaleonte,
"di quel che ho testè udito non mi interessa niente.
Anni fa per fare il sindaco a turno mi son messo,
e oggi nessuno mi farà passar per fesso”
Di fronte a ‘sta battuta tanto seria e tanto arguta
l’allegra compagnia si fece muta.
Allor tutti capirono che l’ora era arrivata
di prender venti uova e far la solita frittata.
L'amico cu la coppola storta senza parola proferire
a tutti fece capire che era arrivata l'ora di andare.
“Se tutto va bene, pensaron tutti uscendo sotto il cielo
bruno,
per i prossimi cinque anni la poltroncina non ce la leva
nessuno”.
Solo il nostrano Edipo, testa in basso e fronte corrugata,
tra se ponderava che la cosa non potea così esser finita.
Solo il nostrano Edipo, testa in basso e fronte corrugata,
tra se ponderava che la cosa non potea così esser finita.
Tanto successe quella nottata, alla faccia di li ciminnisi,
c’ancora pensanu e cririnu a lu beni di lu paisi.
Tutto ciò per onor di cronanca mi sento di narrare
a li paesani mei che alla finestra stanno a guardare.
Cu la mira ri fari fari na risata,
puru a cu appi na mala iurnata.
Ora, son certo che voi vi starete chiedendo,
perché di queste cose scrivo sfottendo.
Io vi rispondo e dico amici miei e compagnia bella,
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