Inizia così il celeberrimo romanzo
breve di Kafka; “La metamorfosi”.
Non vi nego che martedì sera,
ascoltando il Presidente del Senato Renato Schifani, ospite della trasmissione
televisiva Ballarò, che ci deliziava con i suoi discorsi sulla, NIENTEDIMENO,
“moralità della politica” , ho pensato di assistere ad una riedizione vivente
della metamorfosi Kafkiana in salsa italica.
Capite, martedì il semi vegliardo
palermitano dissertava forbitamente e apparentemente convintamente, , sulla
necessità di dare rigore morale e nettezza di comportamenti alla politica provando anche ad ammantarsi di
una improbabile parvenza di autorevolezza .
Vani sono stati i miei tentativi
di darmi una spiegazione di quello che
le mie orecchie captavano.
Ho anche pensato che Ballarò
avesse voluto fare uno scherzo all’illustrissimo palermitano, che comodamente
poggia le sue chiappe privilegiate, sullo scranno più alto del Senato della
Repubblica italiana, credevo infatti, che avessero mandato in onda un vecchio video
di Schifani, mentre le risposte in diretta al gentile giornalista, venissero
date in doppiaggio da un attore.
Affatto!
Niente di tutto ciò, martedì
abbiamo assistito ad uno di quegli eventi dove la realtà supera la fantasia,
abbiamo assistito alla metamorfosi del Senatore Schifani, che subendo una mutazione
genetica, si è trasformato.
Oggi è un vecchio saggio che
dispensa verità e saggezza politica, mentre prima è stato lo strenuo difensore (capogruppo al Senato di
Forza Italia) di innumerevoli leggi porcata, approvate dal parlamento italiano, per proteggere il suo “dante causa”, (l’eccellentissimo cavaliere
Berlusconi), dalla furia comunista e rossa dei Pm italiani, che avevano l’ardire di considerare il cavaliere un
normale cittadino italiano.
Il nostro Schifani, in qualità di
capogruppo, guidava all’epoca con piglio fiero e deciso il partito di
maggioranza numericamente più importante, dell’asservito parlamento italico,
superato per ignominia solo dall’attuale parlamento di nominati.
Chi di noi non ricorda le mirabolanti acrobazie dialettiche dell’allora
capogruppo della defunta consorteria politica denominata Forza Italia, messa su
grazie all’ingegno di tanti e alla perizia e alle amicizie giuste, di un altro
illustre siciliano: il collezionista Marcello Dell’Utri.
Acrobazie dialettiche degne dei
migliori atleti circensi, talvolta così spericolate che alla fine lasciavano
sfiniti i pochi che lo ascoltavano e che nemmeno lui forse capiva.
Oggi il neo moralista, Schifani è
un altro uomo, è divenuto grazie alle virtù terapeutiche delle imminenti elezioni regionali e politiche, un uomo di stato, oserei dire uno statista.
Ma noi invece ricordiamo bene, che la defunta Forza Italia, sotto la sua sapiente guida ha dato il meglio di se, ha scritto pagine di politica che i posteri non potranno dimenticare, approvando condoni a raffica, abolendo, quasi del tutto, il reato di falso in bilancio, approvando la legge Gasparri, e tutta un’infinita teoria di leggi ad personam ( si legge ad Berlusconem”) da far tremare i polsi.
Ma noi invece ricordiamo bene, che la defunta Forza Italia, sotto la sua sapiente guida ha dato il meglio di se, ha scritto pagine di politica che i posteri non potranno dimenticare, approvando condoni a raffica, abolendo, quasi del tutto, il reato di falso in bilancio, approvando la legge Gasparri, e tutta un’infinita teoria di leggi ad personam ( si legge ad Berlusconem”) da far tremare i polsi.
Oggi che il Cavaliere è ormai
arrivato al capolinea, che il PDL è un fantasma degno di chi l’ha visto,
definitivamente corrotto e sconfitto dalla sua stessa natura, con più correnti di un
millepiedi, guidato (si fa per dire) da una altro illustrissimo siciliano l’On.
Alfano, il Nostro Presidente tenta una
riconversione, tenta la carta cosiddetta dell’araba fenice, opera l’estremo tentativo per
riciclarsi tenta di autonominarsi paladino della moralità della politica.
In questa Italia dove aleggia una
lugubre atmosfera da fine impero, dove gli sciacalli cercano di accaparrarsi
gli ultimi bocconi, dove ancora i maiali della politica si ubriacano accanto al
cadavere della Nazione, dove i lavoratori si rinchiudono a centinaia di metri
sottoterra, o si arrampicano sulle ciminiere dell’Ilva di Taranto per difendere il diritto al lavoro e alla
sopravvivenza, dove gli imprenditori si suicidano, mi sento di lanciare un
appello.
Egregio Senatore abbia il buon
senso di ritirarsi in buon ordine, lo sfacelo morale che il partito nel quale lei
ha militato, ha arrecato alle istituzioni italiane e alla stessa società
italiana, necessità di più di una generazione per essere lenito.
Abbia rispetto per la nostra
intelligenza. Faccia come tutti i suoi predecessori, cito il Senatore Pera per
tutti, metta su una fondazione politica (quella non si nega a nessuno) si goda
la pensione e ci lasci tranquilli.
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