Wikipedia definisce così la
vergogna:
“La vergogna è l'emozione
che accompagna l’auto-valutazione di un fallimento globale nel rispetto delle
regole, scopi o modelli di condotta condivisi con gli altri; da una parte è una
emozione negativa che coinvolge l’intero individuo rispetto alla propria
inadeguatezza, dall’altra è il rendersi conto di aver fatto qualcosa per cui
possiamo essere considerati dagli altri in maniera totalmente opposta rispetto
a quello che avremmo desiderato”.
A me questa definizione piace
molto, perché è molto vicina a quello che io stesso considero essere l’emozione della vergogna.
L’emozione
è considerata uno stato psicofisiologico che
assumiamo allorchè uno stimolo esterno ci pone una condizione nuova alla quale dobbiamo adeguarci.
La vergogna è un emozione, lo è
in senso negativo,e la proviamo quando riconosciamo di avere commesso un errore, sia in ambito di relazioni interpersonali
informali, quindi con risvolti privati, sia nell’ambito delle relazioni formali o di eventuali mansioni
sociali alle quali siamo chiamati a rispondere, quindi con risvolti pubblici.
Si può provare vergogna quindi
perché sbagliamo qualcosa nei rapporti con gli altri, sia perché sbagliamo
nell’ambito del nostro lavoro, nei nostri compiti istituzionali etc.
Tantissime sono le ragioni della
vergogna e altrettanti sono i modi per reagire ad essa, sappiamo che a volte
l’emozione della vergogna può essere così intensa da spingere la persona che la
vive a gesti anche estremi.
Si prova ovviamente vergogna
anche per fatti non commessi personalmente, ma commessi da gente a noi vicina
per amicizia o parentela. A volte la vergogna, come dicevo dianzi, può avere risvolti pubblici nel caso in cui l'interessato svolge funzioni pubbliche.
Io stesso nel 1997 ho avuto modo
di sperimentare il forte disagio della vergogna, chiamiamola per interposta
persona, che m’indusse alle dimissioni dalla carica di consigliere comunale.
Il provare vergogna è senz’altro
molto spiacevole e sgradevole, ma ha in se elementi di positività se lo
consideriamo come l’inizio di quel processo di riconoscimento consapevole
dell’errore commesso che può essere, se
interpretato in chiave critica, l’anticamera della ricerca del cambiamento necessario
e quindi della soluzione.
Quindi provare vergogna, è
paragonabile in qualche modo a quando un bambino piccolo avvicinando la mano al
fuoco prova bruciore e dolore e quindi capisce che quella è una cosa da non
fare da evitare.
Ovviamente l’esempio rende l’idea
solo parzialmente, poiché il sentimento della vergogna è strettamente legato
alle regole, ai principi, ai valori e alle leggi che una comunità riconosce
quali strumenti regolatori della convivenza civile fra individui e che sono
come tali accettati da tutti coloro che la compongono. Quindi c’è una
fortissima componente sociale nel sentimento di vergogna.
Per cui fondamentalmente può
capitare e capita spesso, che quello che in me genera vergogna magari per un
altro componente della stessa comunità nella quale io vivo è accettabile o viceversa.
Questa constatazione ci induce a
dire che la componente soggettiva d’interpretazione dei valori condivisi rende
variabile anche tra i membri di una medesima comunità l’insorgere dell’emozione
della vergogna anche di fronte la medesimo stimolo o accadimento e conseguentemente delle reazioni empiriche.
Dalla definizione di wikipedia
(se considerata valida) e da queste mie considerazioni, anch’esse ovviamente
soggette all’accettazione critica del lettore, si evince che la vergogna è un
fatto che si prova o che non si prova, voglio dire è un fatto che nasce se noi
reagiamo con “appunto” vergogna di fronte ad un nostro errore, e che non è
possibile che un soggetto induca altri soggetti a provare vergogna.
Quanto appena espresso pare a
prima impronta un concetto di facile
intuizione e applicazione tuttavia sappiamo che non è così.
Esistono i cosiddetti vergognisti
(perdonatemi il neologismo) a targhe alterne, cioè quelli che decidono cosa,
quando e perché un fatto è vergogna, ovviamente tutto a loro convenienza e
profitto.
Costoro sono i Giordano Bruno di
borgata, i Martin Lutero ruspanti, i Torquemada spiritati, che abbiamo visto aggirarsi per le vie del nostro
paese 5 anni si e 5 anni no.
Sono i predicatori del giusto e
della coerenza della domenica, sono quelli che vedevamo aggirarsi carichi di
papiri freschi d’inchiostro nero, nei quali potevamo leggere il verbo sferzante
delle accuse d’occasione e di contingenza, rivolte agli amici di un tempo
divenuti nemici di passaggio e magari destinati a divenire indispensabili
commensali.
Personaggi poco qualificati che noi
siciliani sappiamo, grazie alla prosa tagliente del nostro Leonardo Sciascia,
come qualificare : cioè: quaraquaqua.
Anatre starnazzanti che si
appellano alla vergogna per provare a dare il loro (a mio giudizio) inutile
contributo all’affermarsi delle convenienze personali e familiari.
Oggi vediamo questi incapaci
buoni a nulla, entrare in letargo assumere posizioni scivolose e viscide sulle
cose pubbliche di ogni giorno, riprendere la strada della denigrazione degli
altri a mezzo cortile.
Vili individui, privi di sostegno
vertebrale proprio, capaci di essere omertosi e spioni a fasi alterne, consapevoli
di non valere nulla.
Oggi vediamo questi graziati
dalla società perdere di colpo il dono del vergognismo che in questi giorni
dovrebbero rivolgere contro loro stessi e assumere le conseguenti azioni.
Ma si sa costoro non hanno mai
avuto consapevolezza di quella che è la bella ed iniziante emozione della
vergogna, perché come dicevano i nostri genitori “pi pruvari vriogna sav’aviri
russuri ‘nta facci”.
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